Sculture antropomorfe
tra credenza popolare e superstizione

Le teste apotropaiche

4 novembre – 3 dicembre 2017
Centro Natura

Via degli Albari, 4a Bologna

U

na ricerca fotografica sulle teste di pietra antropomorfe diffuse un po’ in tutta Italia, in particolare  nelle zone appenniniche tra Emilia Romagna, Toscana e Liguria,  che avevano una funzione apotropaica (dal termine greco αποτρέπειν = allontanare), per tenere lontani gli spiriti maligni che transitavano nelle vicinanze.

Nelle più accreditate ipotesi le teste (o guardiani di pietra) dovevano servire, secondo la credenza popolare, a incutere timore, a preservare le case, le stalle e le fonti d’acqua dal malocchio e difendere così la famiglia, creando un vero e proprio spazio protetto.

La loro datazione sembra risalire al Basso Medioevo e sino ai primi anni del secolo scorso era uso comune collocarle sull’architrave delle porte o sulle fontane, anche se la posizione più favorevole era presso gli spigoli, ritenuti la parte più “fragile” della casa, non certo dal punto di vista strutturale ma come punto di accesso delle influenze negative.
In tutta l’area che va dalla Liguria all’Appennino tosco-emiliano, passando per la Lunigiana, sono particolarmente diffuse e assumono nomi diversi in base alle zone.

Nel modenese vengono identificate col termine “marcolfe”, dall’antico nome germanico Markulf (mark = confine e wolf = lupo ), con il significato di custode dei confini.
In Lunigiana e Liguria di Levante vengono chiamate “facion” mentre nella zona di Lizzano in Belvedere, nel bolognese, sono conosciute come “mummie“.

Esempi di un certo rilievo si incontrano anche presso sperdute pievi romaniche, accostate a simboli sacri, creando così un evidente contrasto tra la credenza popolare, tipicamente pagana, e l’iconografia religiosa.
I volti (o maschere) di pietra venivano scolpiti su blocchi di arenaria o altro materiale litico locale, di non particolare pregio, spesso di recupero.

Si tratta quasi sempre di rappresentazioni stilizzate, opera di scalpellini improvvisati, scolpite con pochi tratti, spesso rozzi, tipici esempi di arte povera e naïf.
Sono facce molto intense e minacciose, con tratti severi, occhi dilatati e denti in evidenza, spesso con vistosi baffi o strani cappelli, oppure con espressioni grottesche o burlone (non è difficile trovarne con la lingua di fuori, quasi a sbeffeggiare i passanti).

Questa non facile ricerca, molti esemplari infatti sono stati asportati o ricollocati in altri contesti oppure sono andati irrimediabilmente perduti per il crollo o per l’abbandono delle case, vuole essere un contributo alla salvaguardia di queste piccole “opere d’arte popolare”.

Recensione di Giovanni Zati sul sito Alto Reno Terme

 

Share